“Un’altra storia” – testimonianze dal nucleo Lilium

Ogni persona è un’isola in sé stessa, e lo è in un senso molto reale, e può gettare dei ponti verso le altre isole solamente se vuole ed è in grado di essere se stessa. Quello che siamo ha in se le soluzioni se solo riusciamo a esserlo (Carl Rogers)

ASP Reggio Emilia Città delle persone, C.R.A. Villa Primula, nucleo Lillium.

Cotroneinforma chiede ed ottiene il permesso di ascoltare e raccontare lo stato d’animo, le emozioni, il sentire e le riflessioni dei residenti  di quello che è uno dei nuclei storici di ASP  attraverso l’aiuto di tutti coloro che lavorano al suo interno: operatori socio sanitari, infermieri, fisioterapisti, responsabili, animatrice, dirigenti. Questa testimonianza vuole essere un contributo a tutta quell’umanità che oggi si ritrova ad essere afflitta da un emergenza sanitaria su scala globale e vuole farlo con quell’atteggiamento che Goethe sintetizzo così: “Se la mattina non ci disvela nuove allegrie e, se per la notte non coltiviamo nessuna speranza, a che vale la pena vestirsi e spogliarsi?” Rosanna Dattolo (di Rocca di Neto, territorio familiare per chi è di Crotone e provincia), è  l’animatrice di nucleo e mi  ha aiutato a raccogliere queste testimonianze. Ma come in ogni cosa che si vuol raccontare e capire occorre fare le domande giuste. Noi faremo quelle domande che nessuno fa! Noi non ci fermeremo ai numeri nè ricercheremo titoloni suggestivi.

Noi raccontiamo un’ altra storia. Scenderemo nel profondo di una quotidianità complessa, dove persone con deterioramento cognitivo o problemi psichiatrici si ritrovano con i visi e gli occhi da sempre familiari di chi li assiste tutti i giorni di colpo nascosti da mascherine e visiere. Si ritrovano a dover applicare misure di distanziamento sociale e a non poter più incontrare i propri cari, non poter andare a messa e incontrare il parroco Don Giancarlo che celebra la messa del sabato mattina nella cappella di struttura. Non ultimo, le amicizie, quelle che nascono tra quelle persone che da anni vivono in quel posto che è casa loro, abituate a sedersi vicine e parlarsi come si fa tra amici. Non ultimo, il festeggiare i compleanni come quelli dei centenari. Sì, perchè questo posto, il Lillium, ospita centenari. Una di queste ne ha 109 di anni (Eva) e a maggio lo si è festeggiata! Come si fa? E il parrucchiere? Molti di loro tutte le settimane in un giorno prestabilito vanno dal parrucchiere. Sì, perchè questo è un posto dove la chiesa è al suo interno ma anche la parruccherìa!

E adesso cosa si fa? Come garantire tutto questo senza causare disagi o addirittura sofferenza? Come può essere sereno l’animo di una persona che non può accarezzare i propri cari? Ma prima di raccontare come si è affrontato e risolto ogni ostacolo proverò a sintetizzarlo con una frase di Albert Einstein, che disse: “Quando la soluzione è semplice, è Dio che sta rispondendo”. Quindi, come si fa senza parrucchiere? Margherita, Gemma, Natalia, Silvia, Elena, Martina… hanno recuperato uno di quei caschi da parrucchiera in un nucleo vicino ed hanno imparato a mettere i bigodini. Risultato? Gli ospiti hanno scoperto che le ragazze e le donne che loro conoscevano come operatrici sono anche delle persone attente alla cura del loro aspetto e, con empatia ed un pizzico di auto ironia, hanno svolto le attività di parruccherìa per donne. Gli operatori hanno invece curato i tagli maschili con forbici e rasoi elettrici che erano in dotazione al nucleo. E tutti quei residenti che erano abituati ad uscire dalla struttura e fare delle compere in autonomia? Gli operatori hanno dato disponibilità a fare loro stessi gli acquisti, quindi facendo loro le file ai negozi per procurare di tutto: settimane enigmistiche, sigarette e molto altro. E con la messa come si fa? Sicuramente la TV fa la sua parte, ma non basta, ed ecco che operatori ed animatrice hanno provato a portare la parola di Dio attraverso citazioni e letture del testo sacro e non solo. Certo, nulla a che vedere con il carisma di un parroco o il suo padroneggiare la materia, ma alla fine abbiamo imparato che la Bibbia è meglio della TV. Incredibile ma vero! Si può leggerla e commentarla in modo tutt’altro che dotto, cercare di capirla ed ecco un’ altra opportunità di relazione. Risultato? Sicuramente per un po si è smesso di pensare all’impossibilità di incontrare Don Giancarlo. Gli spazi? Quello si che è un problema! Come faccimo a mantenere le distanze tra persone che tendono a girovagare? La risposta è semplice ma al contempo complessa. Gli operatori tutti hanno dovuto lavorare sulla relazione. Che parola, relazione! La vera cura di molti mali! Attività semplici che sono alla portata di chi soffre di disturbi cognitivi e comportamentali sono state loro offerte nella forma e nei contenuti per loro attraenti e comprensibili. Le parole che alcuni sostengono essere nella comunicazione un aspetto marginale, qui in questa realtà occorre potenziarle affinchè superino la mancanza delle espressinoi del viso per gli indispensabili DPI. Il sole che tutti i giorni accarezza quel piccolo spazio verde adiacente alla struttura fa la sua parte, si perchè la primavera porta sole e il sole qualcuno sostiene curi ogni male (Nomadi). I fiori da campo che crescono spontaneamente nel giardino di struttura sono stati raccolti da operatori e residenti sostituendo così l’attività di atelier del sabato, (attività in cui si abbelliscono i tavoli da pranzo con vasi e fiori). Come si fa a tranquillizzare un anziano che magari un’ ora prima ha parlato con i figli attraverso il tablet di nucleo con video chiamata ma non lo ricorda più? Facciamo un’ altra video chiamata! Semplice no? Non proprio, perchè persone di 96 anni non hanno confidenza con certi strumenti e mentre la video chiamata è in corso loro toccano lo schermo del tablet per accarezzare i loro cari ma rimangono un po’ sorpresi quando non trovano il viso della persona. Risultato? Li vedi sorridere, si tranquillizzano. Figli di centenari, che a loro volta hanno un età importante e che non hanno confidenza con le video chiamate sono stati aiutati da operatori di nucleo che hanno fatto da tramite lì dove problemi come ipoacusia o ipovedenza non consentivano una comunicazione adeguata. E la musica? Quella che portano i musicisti del CEPAM in attività programmate e che sono mancate? Beh, alcuni operatori e operatrici hanno rispolverato le loro chitarre, quelle abbandonate nei ricordi di quando si avevano 20 anni e per un attimo si era creduto di poter diventare rock star! Poi è successo che nel cantare Bella Ciao le voci degli ospiti abbiano coperto quell’accordo sbagliato, testimone che da troppo tempo quella chitarra non la suonavi più. Ma alla fine siamo riusciti a cantare! Ah, quasi dimenticavo, il Lillium è FREE COVID! Lo è la struttura (Villa Primula). Gli isolati? si perchè essere free covid non significa non ever avuto casi sospetti e gestiti con il rigore che i protocolli di isolamento prevedono. Si potrebbero scrivere pagine e pagine su virus e protocolli, ma io preferisco offrirvi un’ immagine. Ragazze e ragazzi poco più che ventenni che hanno scelto di diventare oss o infermieri e che per questo lavoro, per quello che vedono e fanno tutti i giorni, la loro vita non è oggi e non sarà mai un esistenza comune, ordinaria. Quindi, un grazie alle nuove leve!

Un pianeta migliore è un sogno che inizia a realizzarsi quando ognuno di noi decide di migliorare se stesso. Serenità è quando ciò che dici, ciò che pensi, ciò che fai, sono in perfetta armonia. Sii il cambiamento che vorresti vedere avvenire nel mondo.(Mahatma Gandhi)

Grassi Dario Vincenzo
Ringraziamenti: senza l’aiuto di Margherita Mussati questo articolo non esisterebbe.

FOTO E PENSIERI DEI NOSTRI OSPITI


(Foto album Lilium ottobre 2019)

Molto più pericoloso della guerra che abbiamo passato, lì sapevamo chi era il nemico….qui il nemico non si vede! Ma qui dentro eravamo al sicuro, tutti ci hanno protetto e non ci hanno mai fatto mancare niente.

Silvana

“Non mi piace vederli con la mascherina, perché non si vede il loro sorriso!….”

Jhon

“….La musica aiuta a rilassare la mente e allontanare i pensieri brutti, qui si è continuato a festeggiare i compleanni, con canti e balli…e mi è piaciuto tantissimo perché adoro cantare! Gli operatori non ci hanno mai fatto vedere di avere paura anche se dai loro occhi si vedeva…si sonno presi cura di noi anche meglio di prima…”

Maria

“….Non poteva entrare nessuno…è stato triste, ma nel mio caso, è stato meglio così, perché mia figlia e mio genero  lo hanno preso, quindi è andata bene, perché potevano portarlo qui! Qui non è cambiato niente a parte le loro facce con la mascherine…

Romano

MANI AMOREVOLI

(Foto album ottoble 2019 che ritrae l’attività di cura della persona che oggi ha visto un suo estendersi a tutti gli operatori del nucleo e che sostituisce la parrucchiera).

Quest’oggi vorrei raccontare una di quelle storie che nell’ultimo periodo , per ovvi motivi , non si sentono più. Una di quelle storie dove il virus non l’ha avuta vinta , anzi ha lasciato qualcosa, qualcosa di cui nessuno parla . Nonostante le diffilcoltà , il duro periodo di cui tutti siamo a conoscienza , c’è una struttura , un piccolo grande nucleo, il Lilium, che con forza di volontà e dedizione è RIUSCITO a mantenere una normalità che fuori da quelle porte chiuse da mesi , era mutata . Sorrisi dietro mascherine , occhi dietro visiere , abbracci negati e all’ordine del giorno la frase era “un metro di distanza“ . Ma quello che nessuno sa è che se la parrucchiera non poteva entrare, ci hanno pensato le operatrici ai capelli delle signore , e se il barbiere come tutti non aveva accesso , ci hanno pensato gli operatori al taglio dei capelli . C’erano parenti abituati a recarsi in struttura giornalmente e per più ore al giorno per stare vicino al proprio caro . Ma l’accesso è stato negato anche a loro . Quello che nessuno sa , è che abbiamo un’animatrice che si occupa di effettuare videochiamate con chiunque lo richieda per far sentire un po’ meno la mancanza . Per la prima volta ho visto mani stanche accarezzare un tablet. Poi è arrivata Giorgia, un’infermiera dell’usl, che con il suo bagaglio di esperienza in reparto covid, ci ha aiutati a gestire situazioni, a portarci un po’ di forza, a raccontarci l’amarezza dei suoi giorni in reparto, perché essere covid FREE, non significa non aver provato quello che è un isolamento, una vestizione, una svestizione. Ricordo che ad inizio pandemia, ospiti, animatrice e operatori, si sono messi a creare il classico cartellone con un bellissimo arcobaleno con su scritto “andrà tutto bene”, beh oggi possiamo urlare a gran voce che a noi è andata meglio .

Elena Ghirico (OSS). 

Andrà tutto bene”. Quante volte abbiamo sentito questa frase, l’abbiamo vista rappresentata in tanti modi e dovunque intorno a noi, ma in quei momenti così concitati,molto spesso mi sono ritrovata ad avere forti dubbi.Tanta è stata la responsabilità che ci siamo senti ti addosso per la salute dei nostri anziani. Notare le loro facce preoccupate e smarrite nel vedere cambiatiinostri atteggiamenti nei loro confronti: distanziamento sociale era la parola d’ordine che continuavano a sentire; isolamento, che creava in loro disperazione e tristezza, soprattutto quando lasciati in quarantena nelle loro camer e, quando necessario. Tutti i giorni si arrivava al lavoro sperando e pregando “che tutto andasse bene”, che nessuno di noi fosse positivo, che nessuno di noi fosse “l’untore” di quella che, giorno dopo giorno di lavoro e di vicinanza, è diventata spontaneamente la nostra famiglia.Vorrei ringraziare tutti i colleghi infermieri ed OSS, perchè insieme ce l’abbiamo fatta, qui da noi il Covid non è entrato.

Oggi, a due mesi di distanza possiamo dire “è andato tutto bene”, i nostri sforzi non sono stati vani, siamo sopravvissuti, ma continuiamo a tenere alta la guardia, per i nostri anziani, per il rispetto e l’affetto che ci lega a loro e per quel forte senso di responsabilità verso il prossimo che chi lavora nel nostro campo tutti i giorni, indipendentemente dal Covid, mette in atto.


Maria (Infermiera)

Chi sceglie di prendersi cura dell’altro, lo fa nel silenzio e fuori dai riflettori, fuori da ogni principio di competizione, lo fa perchè crede in un gruppo di lavoro, noi siamo il lillium e io credo in questo posto, in questo gruppo, e credo nella guida lungimirante della RAAI e dei dirigenti tutti. Sono stata accolta in questo nucleo da persone un po’ bizzarre con estro e gioia di vivere, ma mai fuori da quello che è quel comportamento deontologico che in loro è sempre presente. Un forte senso del dovere, spirito di sacrificio, questi operatori e infermieri e fisioterapisti, sono capaci di sorridere sempre, mai lo sconforto ha prevalso. Non siamo quelli che la TV racconta, allora vogliamo raccontarlo, con quel garbo che ci contraddistingue e un grazie a chi accoglie i nostri pensieri!

Questa è un’altra storia… io? Sono Rosanna una animatrice, una madre, una figlia, una donna…

Rosanna (Animatrice) 

Separarli non è stato facile, anche a causa delle loro patologie, ma questo senso di profonda responsabilità e protezione che sentivo nei loro confronti l’ ho messo davanti a tutto, comprese quelle piccole privazioni di libertà come distanziarli da coloro i quali si erano affezionati o con i quali si erano creati rapporti di amcizia.

Giuseppe (Infermiere)

Misento responsabile nei loro confronti come nei confronti dei bambini che non avvertono il pericolo, anche se molti di loro non capivano veramente la situazione, il perché delle distanze e delle mascherine, noi dovevamo proteggerli e con pazienza e dedizione abbiamo fatto quello che era giusto fare. Questo lavoro non lo puoi far solo per denaro, se no non reggi…

Francesco (OSS)

Ho scelto questo lavoro per il contatto fisico che ho con l’ altro, questa emergenza sanitaria ha fatto sì che il mio modo di lavorare venisse completamente stravolto. Ho dovuto ridimensionare il mio modo di lavorare per trovare nuove modalità, tali da poter offrire comunque un servizio adeguato. Ho cercato di ritagliarmi più tempo possibile per poter donare a loro sostegno emotivo, perché la confusione che ha portato questa situazione e la mancanza dei loro familiari era grande.

Jasmine (Fisioterapista)

Sono orgogliosa di poter contribuire per la società, in questo momento sono ancora più fiera di fare il mio lavoro, nonostante l’ ansia le paure, il non sapere come ci si deve comportare, il pensiero di poter essere un potenziale pericolo per la mia famiglia e/o per gli anziani mi ha molto provata all’ inizio, ma credo che ora più che mai essere un caregiver è bello, vado a casa a fine turno che so di aver fatto qualcosa di buono per qualcuno, mettendolo davanti a tutto.

Marybel (OSS)

Ho scelto questo lavoro proprio per il rapporto intimo che si crea con l’altro e il doversi allontanare è stata dura.  Ho imparato a sostituire queste mancanze in altri modi acnhe a distanza, verbalmente e con una parola di conforto in più cercando di dargli sicurezza e tranquillità.

Silvia (OSS)

Noi non siamo solo la figura assistenziale, siamo un punto di riferimento e parte della loro famiglia, diventiamo nipoti e figli. All’ inizio eravamo un po’ in balia degli eventi ma l’ unione fa la forza e tutti insieme ne siamo usciti, ognuno faceva anche ciò che non gli competeva, c’ era collaborazione e aiuto da parte di tuttele figure professionali, e questo è stato fondamentale per sdaltarci fuori. Colmare la loro solitudine è stato difficile, sostituirsi ai loro reali affetti, qiasi impossibile. Gli ospiti sono più vulnerabili e spaventati, ed è stata una presa in carico emotiva, importante. Tornavo a casa pensando a come potesse essere brutto sentirsi isolati, ho avuto paura di non riuscire a trovare i lmodo di tirarli su di morale,e spesso e volentieri erano loro a tirarci su. Non pensavo a 20 anni di riuscire a sopportare questo carico emotivo, a me questo momento ha aperto un mondo, questo è il lavoro che vorrò fare, perché noi ci siamo per loro e loro ci sono per noi…SEMPRE

Martina (OSS)

E’ stato un momento veramente difficile, inizialmente mi sono sentito abbandonato, nessuno ci spiegava come fare le cose, ogni giorno c’ era un cambiamento, ognuno prendeva decisioni senza condividere. Ho vissuto un periodo di grande frustrazione e stress, gli ospiti erano spaesati ma io ho cercato di mantenere il mio approccio sempre uguale come se non avessi la mascherina. Per alcune tipologie di utenza e patologie il distanziamento è stato difficile da gestire. Emotivamente ti prende il fatto che sono soli e attraverso gesti ho cercato di dare qualcosa in più ritagliando durante il servizio momenti per parlare e dare loro conforto.

Loris (OSS)

La mia prima preoccupazione è stato l’allontanamento dei nonni dai loro cari ma poi è arrivata la più grande soddisfazione: i parenti tutti a dimostrarci affetto e piana fiducia.

Margherita (OSS)

Sono una delle ultime persone assunte, poco prima di questa epidemia. Purtroppo non è facile doversi nascondere dietro una mascherina e non poter mostrare un viso sorridente a persone che ne hanno bisogno ogni giorno. La mia paura più grande era quella di non dare mai abbastanza, ma mi sono ritrovata in un equipe di professionisti che ho visto all’ improvviso trasformarsi da OSS, a parrucchieri, cantanti e ballerini…ho capito che l’ importante era essere se stessi dando il massimo perché se fai del bene, stai bene e soprattutto crei serenità attorno a te.

Soki (OSS)

E POI…. C’E’ EVA!

UN AUGURIO A TUTTI PER UN FUTURO LUMINOSO!

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